lunedì 23 febbraio 2009

Felicità.



Non si può tenere un libro contabile della felicità

né giudicare il modo in cui si presenta, come un figliol prodigo,

che torna per buttarsi in ginocchio ai tuoi piedi, nella polvere

dopo aver dilapidato una fortuna.

E come si può non perdonare?

Organizzi un banchetto in onore di ciò

che è stato perduto e tiri fuori il servizio buono,

quello che tenevi da parte, per un' occasione

che non immaginavi, e piangi notte e giorno per aver scoperto di non essere stata abbandonata,

ce la felicità ha conservato la sua forma

più estrema

per te sola.

La felicità è lo zio che non hai mai conosciuto,

che vola su un' aereo monoelica

per atterrare sulla pista erbosa,

fa l' autostop fino in città

e bussa ad ogni porta

finché non ti trova addormentata in pieno giorno

come ti capita spesso nelle ore implacabile

della tua disperazione.

Raggiunge il monaco nella sua cella,

la donna che spazza la strada con la scopa di saggina,

il figlio la cui madre è svenuta per il troppo bere.

Raggiunge l' amante,

il cane che mastica una calza,

il pusher,

il cestaio

e il commesso che impila scatolette di carote nella notte.

Raggiunge anche la pietra tonda all' ombra costante della pineta,

la pioggia che cade in mare aperto,

e il bicchiere di vino,

stanco di contenere vino.


Jane Kenyon.

2 commenti:

Stefano ha detto...

Bella, davvero molto bella. Come il concetto che esprime.

leorso ha detto...

E' bellissima Luisa, grazie.
Sei veramente grande